“QUANTE MORTE SONO TANTE?” DONNE DI SABBIA, UNO SPETTACOLO DI DENUNCIA SUI FEMMINICIDI DI CIUDAD JUAREZ
in Circoscrizione 3
di Daria Piccotti
28 novembre 2016
in Circoscrizione 3
di Daria Piccotti
28 novembre 2016
“Juárez, frontiera della realtà, un fiume furioso, rosso di sangue, deborda e c’inonda il coraggio”.
Il 25 novembre, presso la Circoscrizione 3, è andato in scena lo spettacolo Donne di Sabbia, interpretato dall’omonimo gruppo di Torino, per celebrare la giornata mondiale contro la violenza sulle donne.
La Presidentessa della Circoscrizione 3, Francesca Troise, ha introdotto l’evento ribadendo l’importanza di un impegno costante e quotidiano per fronteggiare la violenza di genere in ogni sua forma. Tale orientamento è stato confermato dall’Assessore alle Pari Opportunità del Comune di Torino, Marco Giusta, che ha espresso la sua vicinanza alle vittime e ha introdotto la nuova campagna anti-violenza, rivolta direttamente agli uomini.
Nella penombra della sala sono entrate le 4 attrici protagoniste, ciascuna di loro ha acceso una candela e si è posizionata dietro alla propria piccola luce, in un’atmosfera rituale che ha accompagnato l’intera rappresentazione. Ognuna portava al collo il ritratto di una donna, una delle centinaia di vittime i cui corpi hanno insanguinato Ciudad Juárez, città in cui “si uccidono le donne perché sono donne”.
“Il deserto è un mare immenso di sabbia e polvere”, un mare che ha inghiottito i corpi senza vita di centinaia di donne rapite, violentate, uccise e infine gettate via come rifiuti. Smaltite, dimenticate, sradicate. Tutto questo grazie all’impunità, perversa divinità protettrice dei colpevoli.
La prima storia è quella straziante di una madre “con una figlia strappata dal giardino del suo cuore”, una madre mutilata, che ricorda l’energia e la vitalità della sua Natalia, “dagli occhi neri, neri, identici ai suoi capelli, neri, neri”. Un giorno Natalia non è più tornata, nonostante la disperazione della famiglia, la polizia non ha fatto indagini, finché il suo corpo fu ritrovato nel deserto, irriconoscibile se non dai vestiti.
Eréndira ha subito lo stesso crudele destino, sappiamo dal suo diario che era una ragazza piena di progetti per il futuro, amante della musica e dell’arte, illuminata dalla gioia di vivere e in cerca del vero amore. Il suo corpo straziato giaceva nella sabbia, un mucchietto di ossa e sangue.
Alle famiglie consegnano un sacco di ossa: “Ecco sua figlia”.
Spesso i corpi non si trovano, lasciando le famiglie nel tormento dell’attesa, aggrappate a vane speranze: “lo so che tornerai”, si ripete la cugina di Micaela, strappata ai suoi cari una sera qualsiasi.
Le morti e le sparizioni si moltiplicano ma i colpevoli non vengono cercati, non vengono puniti: “Che sia la treccia profumata dei tuoi capelli la corda con cui tutti i giorni impicchino i loro sogni”, prega un ex prigioniero di coscienza, vittima anch’egli dell’impunità, nella sua poesia per le vittime del femminicidio.
Il Governo afferma che il numero di vittime rientra nel tasso normale di omicidi di donne a Ciudad Juarez. “Si riferiscono alle migliaia di donne, tra i 5 e i 25 anni, con caratteristiche fisiche e sociali simili, il cui modo di morire ha fatto sì che esperti di fama internazionale riconoscessero il possibile lavoro di uno o diversi serial killer”.
Ma “quante morte sono tante?”
Le madri, le sorelle, le famiglie innalzano preghiere, affinché l’impunità abbia fine: “Juárez, solleva la tua voce fino a fare guarire la sordità della giustizia”.
“Finché esiste una luce, rimarrà la speranza di ritrovare le nostre donne, le nostre sorelle, le nostre figlie di ritorno a casa"